martedì 27 luglio 2010

Il tempo che non scorre

Lo scrittore spagnolo Camilo José Cela Trulock amava ripetere che "alla disgrazia uno non si può abituare, perché sempre abbiamo l'illusione che quella che stiamo sopportando debba essere l'ultima, sebbene in seguito, con l'andare del tempo, incominciamo a persuaderci, e con quanta tristezza, che il peggio deve ancora venire."
Cela indubbiamente possedeva una visione pessimistica della vita e negativa del mondo, nulla a che vedere con l'ottimismo dei tempi moderni che ci propinano certi mezzi busti televisivi.
Eppure questo tema della disgrazia che si presenta e non ci da neanche l'illusione di saperla sopportare per scoprirsi subito antipasto di disastri maggiori, oggi torna più attuale che mai.
E ci gustiamo queste amare portate partendo da lontano, cioè da ieri, per scoprire che il tempo della politica e dei vizi della politica è un non-tempo dove passato, presente e futuro si fondono in un unico lungo momento, al punto che il presente, agostinianamente, sembra sparire stirato come tra passato e futuro.
Nel luglio del 1989 viene nominato Ministro dell'Interno (perché ormai questa è la dizione corretta, non più Ministro degli Affari Interni, segni del tempo che scorre) Antonio Gava, leader campano della corrente democristiana del "grande centro". Al suo insediamento il neo ministro nomina quale capo della segreteria il professore liceale di filosofia Raffaele Lauro, attuale senatore quota PdL e Prefetto, originario di Sorrento, precedentemente distintosi esclusivamente quale organizzatore del collegio elettorale del neo-ministro Gava.
Ci soffermiamo sulla carica di Prefetto perché, curiosamente, il sito del Senato della Repubblica, nella scheda con i dati anagrafici e gli incarichi, la definisce "professione"; non più dunque organo monocratico dello Stato la carica di Prefetto, ma professione.
Nell'ottobre del 1990 il Ministro Gava, per problemi di salute è costretto a dimettersi ma l'ex professore, ora senatore e prefetto, Lauro viene incoraggiato dal suo sponsor politico a restare a disposizione del suo successore, Vincenzo Scotti, anche lui campano, anche lui schierato con la corrente democristiana del "grande centro".
Gava per assicurare continuità di gestione induce il fedele successore Scotti a dare più potere a Lauro, nominandolo Capo di gabinetto del Viminale, incarico che chiamando ad un'azione capillare e costante di coordinamento dei capi di Direzione, che sono tutti Prefetti, pretenderebbe esser ricoperto da un esperto in discipline amministrative, titoli che Lauro non possedeva al tempo.
Scotti decide allora di proporlo al Governo per la nomina a Consigliere della Corte dei Conti, l'organo massimo di autogoverno della magistratura amministrativa, per dotarlo, una volta nominato magistrato amministrativo, di tutte le credenziali necessarie per assumere l'incarico di Capo di gabinetto.
Il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 5 dicembre 1990 provvede alla nomina suscitando le comprensibili e immediate proteste dei magistrati amministrativi, che si concretizza nel veto a quella nomina, in quanto il candidato è troppo giovane e sprovvisto di titoli, pronunciata da parte del Consiglio di Presidenza della Corte dei Conti.
Il Governo, punto sul vivo, decide di impuntarsi su questa candidatura e di far valere appieno la propria prerogativa di nomina del 20% dei magistrati della Corte dei Conti.
Allora come oggi sarebbe esercizio vano il ricordare che i padri costituenti vollero lasciare questa e altre prerogative al Governo e al Parlamento non per consentire a questi di piazzare nei posti vacanti i trombati della politica o per farne questioni di puntiglio con i magistrati, ma per poter far accedere a questi alti incarichi anche esperti giuridici e docenti universitari, di chiara e riconosciuta fama, ma non togati.
Ad ogni buon conto in quel caso l'Esecutivo fece i conti senza la Corte dei Conti che immediatamente assegnò l'ex professore di filosofia presso l'ufficio di Palermo della Corte dei Conti, l'ufficio preposto al controllo degli atti della regione siciliana.
La situazione assume a questo punto connotati ancor più tragicomici in quanto Scotti non si da per vinto e propone al Consiglio dei Ministri la nomina di Lauro a Prefetto allo scopo di elevarlo a pari grado dei prefetti e di spegnere sul nascere ogni polemica circa la possibilità di ricoprire l'incarico di Capo di gabinetto.
Lauro viene nominato prefetto tra le manifestazioni di esultanza dei prefetti in carica dato che l'ex professore, ora Prefetto, passando alla gerarchia prefettizia, è costretto a rinunciare al ruolo di magistrato amministrativo, ma può conservare lo stipendio di consigliere della Corte dei Conti, ammontante allora a 8 milioni di lire mensili, ossia il doppio di quello percepito al tempo dai prefetti.
Per l'obbligo di perequazione esistente negli stipendi dei funzionari statali pari grado, se uno di loro riceve una remunerazione maggiore pur avendo meno anni di anzianità, anche gli altri pari grado devono vedere i propri stipendi "galleggiare", ossia portati allo stesso livello.
Essendo l'ex professore Lauro il più giovane tra tutti i prefetti in esercizio al tempo ma contemporaneamente quello con lo stipendio più alto, le casse dello Stato dovettero adeguare tutte le retribuzioni mensili dei prefetti d'Italia al prefetto voluto da Gava e Scotti.
Come si può ben leggere le insane abitudini e vizi della cattiva politica non hanno mai un tempo e soprattutto un termine.

Giuseppe D'Urso, insegnante molto precario, da Catania

mercoledì 21 luglio 2010

E' potuto accadere e sappiamo che accade ancora.

Leonardo Sciascia nell'introduzione che scrisse per una nuova edizione della "Storia della colonna infame" riporta tra gli altri un aneddoto legato ad Ugo Foscolo il quale, nel Gazzettino del bel mondo così scriveva: «Addison vide in Milano la colonna infame eretta nel 1630, a ignominia di un barbiere e di un commissario di sanità. […] La vide nel 1700, e ricopiando l’iscrizione, che gli parve di elegante latinità, narra bonariamente il fatto, come s’ei l’avesse creduto»
E rispondendo a distanza di secoli all'indignazione del Foscolo per l'insensibilità mostrata dall'Addison, turista svagato e come tale più attento al bel latino che ai contenuti, Sciascia sosteneva che neanche il bel italiano del Manzoni era riuscito a scuotere le coscienze degli italiani che si erano semplicemente limitati ad abbattere la colonna, oramai più motivo d'infamia per chi la eresse che non per i condannati.
Questa triste storia la si era semplicemente voluta seppellire e con essa anche l'opera citata del Manzoni rimasta semi sconosciuta ai più nel nostro Paese.
E' potuto accadere tutto ciò in passato. Purtroppo sappiamo che accade ancora oggi.
La donna raffigurata nella foto a sinistra è Sakineh Mohammadi Ashtiani, una madre di 42 anni, detenuta perchè accusata di adulterio sulla base di una confessione estorta dopo una punizione di 99 frustate.
Il semplice fatto che una confessione così ottenuta non sia certamente spontanea dovrebbe far riflettere tutti ma se a questa violenza sommiamo la circostanza che questo adulterio si sarebbe consumato dopo che suo marito era morto e quindi la donna era di fatto vedova, la condanna a morte inflitta alla donna risulta tragicamente grottesca.
L'accusa formale per cui è stata incriminata nel 2006 è quella di aver avuto rapporti sessuali con due uomini fuori dal matrimonio, rapporto che evidentemente si prolunga ben oltre l'esistenza in vita del marito e dunque degna, secondo un tribunale islamico, di condanna alla pena di morte per lapidazione, condanna che è stata nel 2007 confermata, con identiche modalità di esecuzione, dalla Corte suprema iraniana.
La pena di morte comminata con lapidazione è di fatto una tortura protratta fino alla morte dato che la vittima deve essere sotterrata in modo da lasciar emergere dal terreno solo la testa, trasformata così in bersaglio da centrare con pietre appuntite e taglienti ma non sufficientemente grandi da poterle infliggere immediatamente la morte.
All'interno delle istituzioni iraniane si è aperto un dibattito sulla legittimità della condanna e sulla vergogna che ricadrà su tutta la Repubblica islamica se ancora una volta una donna verrà lapidata, confronto che dal 2007 è ancora in corso e che se non è approdato ad un ripensamento della condanna ha ottenuto il pregevole risultato di bloccare l'esecuzione a tutto dì.
Sul sito
http://freesakineh.org/ migliaia di firme si aggiungono di ora in ora a quelle di chi ha lanciato l'appello.
Ci sono momenti in cui anche Berlusconi può andare al diavolo e per un giorno può fare a meno delle mie attenzioni.
Giuseppe D'Urso, insegnante molto precario, Catania

lunedì 19 luglio 2010

Se la canta e se la suona da solo


Stasera a Milano sarà assegnato il premio "Grande Milano" con la seguente motivazione: «Statista di rara capacità che conduce con responsabilità e lucida consapevolezza il Paese verso un futuro di donne e di uomini liberi che compongono una società solidale fondata sull’amore, la tolleranza e il rispetto per la vita».

Siete in errore, o voi che leggete! Se pensavate che questo premio fosse destinato a Mandela che ha impiegato 67 anni della propria vita in difesa dei diritti dei suoi simili proiettando un intero paese al superamento delle divisioni razziali e sessiste, siete purtroppo in errore.

Il premio sarà assegnato dal Presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà (podestà? parole che si dicono...dipendente lacchè piuttosto a giudicare dalla melliflua motivazione addotta...) quota PdL, a Berlusconi e all'immancabile Don Verzè, il prete-spretato, interdetto dalla Curia milanese dall'agosto del 1964 con la "proibizione di esercitare il Sacro ministero".

Ironia della sorte il premio è rappresentato da una scultura ma questa volta gli sarà semplicemente consegnato a Berlusconi non si indirà alcuna gara di lancio e nelle intenzioni di Berlusconi e del suo podestà rappresenterà una sorta di riappacificazione tra Berlusconi e la città di Milano.

Intanto, per ogni buon conto, lui si porta Don Verzè, affinché, qualora si verifichino incidenti e ferimenti, non gli vengano a mancare le amorevoli cure e le visite per il corpo e per l’anima che egli saprà sempre puntualmente ricambiare.

E del resto tra le virtù di Berlusconi, oltre alla specchiata cristianità e fede nel Signore, c’è senz’altro anche l’imperitura gratitudine verso i sodali e i compari. Siamo certi che, come nel passato, così in futuro non mancherà di far dono della personale gratitudine a don Verzè.

Il connubio tra i due compari nasce al tempo in cui Berlusconi, attraverso la “sua” Edilnord sas, appaltava la costruzione di Milano 2 e della nascente clinica San Raffaele.

La zona di Segrate dove sorse la città satellite, al tempo, siamo alla fine degli anni sessanta, rientrava nei piani di volo degli aerei che decollavano e atterravano a Linate. Quindi a tutto era idonea tranne che ad edilizia residenziale e a clinica di cura e degenza per ammalati.

Ma la presenza della clinica era estremamente comoda a Berlusconi per qualificare l’area in costruzione e per usarla, assieme ai buoni uffici di don Verzè nelle segreterie romane della DC, come grimaldello per ottenere lo spostamento delle rotte aeree, a danno chiaramente di altre aree, precedentemente edificate ma che avevano il torto di non esser sorte “dalle sue mani”.

Come è logico immaginare, nonostante un decennio di cause varie in tribunale (e qualche condanna per istigazione alla corruzione ed edilizia abusiva e senza licenza comminata al prete spretato) alla fine la spuntarono i due sodali e solo con le inchieste giudiziarie di “Mani Pulite” qualche condanna ai corrotti è alla fine arrivata. Quanto ai corruttori… furono… miracolati.

Giuseppe D’Urso, insegnante molto precario, da Catania

giovedì 15 luglio 2010

Penso. Dunque scrivo.

Non intendo assolutamente redigere un editoriale per spiegare questa mia personale iniziativa.
Non sono a tal punto affetto da civettuosa vanità.
Preferisco invece spiegare le ragioni che mi hanno spinto ad adottare un'espressione dialettale quale "u ciumi tira pettri" per dotare di nome questo blog.
Spiegazione lessicale per chi non padroneggia il dialetto siciliano e d'intenti per chi conosce quest'espressione sempre meno in uso.
Con l'immagine del fiume che scaglia macigni s'intende uno stato d'animo ed una condizione eccezionale dove le avversità sembrano assumere l'irruenza del fiume che, rotti gli argini, inonda il terreno circostante con il carico di pietre e acqua che ne segue.
Spesso dunque si associa sia alla condizione individuale (sono in uno stato di tale difficoltà che anche gli elementi della natura tramano ai miei danni), sia per sottolineare gli stati d'incoscienza (ridiamo mentre il fiume ci sommerge con il carico di acque e detriti).
Volendo presuntuosamente e quotidianamente inondare di macigni e acque chi avrà piacere di accompagnarmi in quest'esperimento e di proporre i propri contributi, il blog prende proprio per queste ragioni nome e funzioni del fiume: "tira pettri".
Sarà piacevole ridere nei giorni a seguire delle acrobazie del polpo Paul e delle sue arti divinatorie senza per questo distrarre lo sguardo da ben altre piovre e da ben più soffocanti tentacoli rispetto al placido cefalopode.
Spero di incontrare nuove forme di scrittura e di espressione capaci di imprimere vitalità nuova ad argomenti esausti.
Del resto è solo un esperimento. Come ogni attività scritta. Solo un esperimento.
Giuseppe D'Urso, insegnante molto precario. Da Catania

mercoledì 14 luglio 2010

Morire ad insaputa dei propri datori di lavoro

Se non fossimo dinanzi ad un fatto estremamente tragico ci sarebbe da ironizzare sarcasticamente: "Assunto a loro insaputa. Soprattutto morto, mentre era al lavoro, a loro insaputa".
Accade a Milazzo dove un giovane di 20 anni, Riccardo Spadaro, originario di Barcellona Pozzo di Gotto, è stato trovato cadavere nel vano motori della piscina del "Silvanetta Palace Hotel" del centro mamertino.
Il ragazzo, secondo quanto affermano i genitori della vittima, lavorava da oltre un mese in nero come factotum nell'hotel.
Lo Spataro si trovava, secondo gli inquirenti, all'interno della sala motori della piscina dell'albergo quando, per cause da accertare, sarebbe rimasto bloccato.
I proprietari dell'albergo, invece, sostengono di non conoscere la vittima.
Nel tempo delle azione compiute a beneficio del prossimo a sua insaputa capita anche che si muoia all'insaputa dei propri datori di lavoro, che erano ignari anche di averti assunto o preso alle proprie dipendenze.
Giuseppe D'Urso, insegnante molto precario, da Catania