lunedì 30 agosto 2010

Il circo libico a Roma


Queste riflessioni nascono dalla cronaca e si riversano sulla cronaca dei nostri giorni.
Vorrei sapere perché il Ministro dell'Interno (ormai lo dobbiamo chiamare così, dell'"Interno", come se si parlasse di fatti privati, di episodi da condominio e non più, correttamente, degli "Interni", degli Affari Interni) Maroni non si sta adoperando per un respingimento, visto che si fa vanto di cacciare i criminali dal nostro Paese e il sindaco di Roma Alemanno, che tanto a cuore ha le occupazioni abusive da parte di clandestini, non si sta prodigando a sgombrare l’accampamento abusivo che Gheddafi sta impiantando? Probabilmente il Basso Sultano e tutta la consorteria che si porta dietro sono succubi del pagliaccio libico e del suo circo fatto di tende, amazzoni e cavallerizzi….
Naturalmente il rigore, gli sgomberi, le tessere del tifoso, le espulsioni valgono al solito, alle solite, per i più deboli.
Quando si tratta di proibire, inquisire e punire i più deboli questi loschi figuri accorrono a sciami, come le mosche alla.....
Peccato che la Chiesa si stia lentamente aprendo al mondo. Se si fosse arroccata al tempo di Filippo II, dell'inquisizione più feroce, vi si sarebbero riconosciuti e si sarebbero sentiti conosciuti.
Ma probabilmente stanno meditando di passare a frequentare la Chiesa di fronte....
Giuseppe D'Urso, insegnate molto precario, da Catania.

venerdì 13 agosto 2010

Le ceneri della cena


“Cinerem tumquam panem manducabam.”
Giordano Bruno, La cena de le ceneri.

Raccontano le cronache di fine impero di un susseguirsi di cene che hanno puntellato e punteggiato le ultime settimane romane.
In una circostanza il Basso Sultano è stato ospite, seppur d’onore, di un cittadino dalla vista d’aquila che festeggiava non si sa quale anniversario di inizio attività professionale e per l’occasione il Biscione si accompagnava con la figlia diletta per farle conoscere il bel mondo dell’editoria, della finanza e della politica; in altre invece vestiva i panni di anfitrione per circondarsi di antichi amici e nuovi e fedeli servitori con cui trascorrere e celebrare le macabre e oscene ore liete del potere.
Se la prima cena era un’intima occasione per riannodare fruttuose relazioni, ardire nuove trame di potere e di ricchezza, rovesciare antiche alleanze e restituire tradimenti; l’atmosfera della seconda era quella di una compagnoneria facile e sguaiata, impreziosita da grida di sorpresa, da scherzosi insulti, da abbracci e manate.
L’invito che il Basso Sultano aveva rivolto ai suoi signori Senatori e signori Onorevoli era all’insegna della meditazione sul da farsi e di bilancio delle attività di governo fatte e da fare, bilancio consuntivo e di previsione; ed è facile immaginare un costante parlarsi all’orecchio tra i vicini e cenni e sorrisi di saluto per i lontani, mentre l’anfitrione teneva sermone.
Sicuramente avevano avuto modo di meditare gli illustri ospiti e ne avranno dato prova con l’ansietà di comunicarsi i risultati delle meditazioni che si scioglievano in piacenti aneddoti a carico di amici-nemici e di nemici-amici, adulazioni, condiscendenti apprezzamenti e qualche barzelletta oscena piuttosto datata.
Ma è nel dopo cena che il menù lasciava il passo al parlar figurato e l’inappetenza di qualcuno e la fame dei più erano elevate ad argomento pressante di cui discorrere: quello mangia, quello ha una fame, quello non ha mangiato ancora, non vuole mangiare, vuole, non può, bisogna farlo mangiare, deve finirla di mangiare tanto, c’è un limite al mangiare e così via.
Crediamo che in queste e altre cene il Basso Sultano firmi le sue scellerate cambiali con gli ambienti affaristici-massonico-mafiosi e che alla scadenza ci è dato a noi lo scontarle.
Noi abbiamo certezza solo di quelle che abbiamo già scontato in nome e per conto suo.
Non sappiamo quante ne restino ancora da onorare; quante siano prossime al protesto e quante ancora lui ne stia firmando per conservarsi il silenzio sui suoi segreti inconfessabili.
Spero che i segni d’insofferenza che sono emersi in alcuni dei suoi in questi ultimi giorni siano una manifestazione di tardivo ripensamento e che iniettino perciò nella fortezza il tradimento.
E che il tradimento la devasti e lo devasti.

Giuseppe D’Urso, insegnante molto precario, da Catania.

lunedì 2 agosto 2010

Lo so che sono partigiano! Me ne vanto.


Inutile negare che ragioni d'amicizia mi dettano un gesto sentito e comunque spontaneo. Spontaneo perché non richiesto, ma voluto da me che lo compio.
Del resto in un secolo che pretende il peggio da ognuno di noi mi si vorrà forse ascrivere a colpa il render gentile omaggio ad una buona scrittura e consigliare una buona lettura?
La buona lettura che consiglio è il libro "Che minchione le formiche" scritto da Cinzia Di Mauro,insegnante catanese che opera da tanti anni in una difficile realtà quale quella di Librino. Da quelle realtà o si fugge o le si vive quale condanna.
Cinzia Di Mauro invece è riuscita a dare forma ai sentimenti convulsi e anima a coloro che la città nel suo caotico e frenetico sviluppo ha voluto cacciare, quanto più lontano da sè, ripudiandoli quali figli non desiderati.
Non contentandosi di esser padrona del proprio stile,Cinzia Di Mauro ha fatto in modo, leopardianamente, che il suo stile, fatto di stili sempre differenti, diventasse padrone delle cose.
Io forse sono la persona meno adatta a fare recensioni perché, come gli ubriachi di vino s'inebriano, io di buone letture m'ubriaco.
Vi indico a seguire il link di accesso al pezzo sul Giornale di Sicilia e al blog di Cinzia Di Mauro, www.altrenugae.blogspot.com
http://altrenugae.blogspot.com/p/cmf-sul-giornale-di-sicilia.html

Giuseppe D'Urso, insegnante molto precario, da Catania

La stagione degli astanti

Il fine settimana, visto dalla informazione televisiva e dalla carta stampata, è apparso come punteggiato da bollini rossi o neri, a seconda del grado di pericolo che si voleva segnalare ai viaggiatori. Da lì tutta una serie di avvertimenti e consigli per partenze “intelligenti” snocciolati come i grani di un rosario e biascicati alla maniera di una litania.
Chiaramente le cifre non mancavano di sottolineare, a seconda del punto di vista che si voleva metter in risalto, l’ottimismo per i 22 milioni di italiani che si apprestano o sono già andati in vacanza e il pessimismo di chi rimarca che solo un italiano su tre si potrà quest’anno concedere una vacanza, breve o lunga che sia.
Non essendo personalmente affetto né da pessimismo cronico né avvezzo ai facili ottimismi, mi pongo ben altre domande di cui non ho trovato né traccia né, conseguentemente, riflessione critica.
Nessuno, inteso la stampa attenta, sembra prestar attenzione alle vere domande da porsi, alle vere questioni “intelligenti” su cui riflettere: chi sono coloro che non partono e cosa faranno?
I quesiti appena posti, in una società civile, riceverebbero almeno pari attenzione a quella prestata alle esigenze e ai bisogni di chi parte.
Il dato anagrafico di chi non parte e i modi con cui questi mancati vacanzieri impiegheranno questo tempo (in altre condizioni economiche impiegato in vacanze) è fondamentale per modulare la qualità e l’offerta dei servizi alla inopinata domanda supplementare che quest’anno si riverserà nelle nostre città.
Indipendentemente dal livello di qualità e di efficienza dei servizi offerti negli anni passati, senz’altro quest’anno gli stessi risulteranno insufficienti in grado e misura variabile al livello di sensibilità che le amministrazioni locali, gli esercenti di pubblici locali e le attività economiche avranno prestato al problema.
Difficilmente la scelta di non partire matura nelle ultime settimane, vero è semmai il contrario.
Analizzare per tempo questo dato, quello di coloro che non partono; sapere per tempo a quali fasce anagrafiche appartengono, a quali ceti sociali; avrebbe consentito di modulare sia i servizi sia l’offerta delle opportunità di impiego del tempo libero.
E’ palese che una popolazione di anziani necessita in misura maggiore di servizi rispetto ad una popolazione più giovane che rivolgerà alla città ben altre domande.
Le amministrazioni locali e gli esercenti invece sembrano ricalcare abitudini lontane ormai anni luce dalla realtà: quello delle città desolate nel mese di agosto, con negozi chiusi, riduzione delle corse dei mezzi pubblici, del personale nelle strutture ospedaliere, locali che rimandano i propri clienti e frequentatori al mese di settembre augurando buone ferie etc.
Poi magari per mesi i dipendenti sono stati logorati, a compenso chiaramente quasi immutato, con aperture full time, con chiusure alle ore 22, con aperture domenicali e festive, per offrire nuove e più vaste possibilità di acquisto alla clientela. Mentre le si negano a chi, non potendo partire, può cercare consolazione facendo acquisti, visitando mostre, frequentando locali, prendendo mezzi pubblici, vivendo insomma la città che, se non svuotata, sicuramente appare meno soffocata rispetto al periodo invernale.
Eppure basterebbe pensare a come, in caratteri cinesi, è scritta la parola “crisi”: due simboli di cui uno rappresenta il “pericolo” l’altra “l’opportunità”, quelle che ovviamente non siamo più in grado di cogliere.
Del resto, direbbe Cechov, “qualsiasi idiota può superare la crisi; è la vita quotidiana che invece ti logora”.
Consolatevi comunque o voi che restate! Neanche il Basso Sultano andrà quest’anno in vacanza.
Dopo aver invitato un anno fa gli aquilani ad andare in vacanza; dopo aver prestato la sua voce e il suo volto per invitare gli italiani ad “impiegare le proprie vacanze in Italia”; lui invece resterà, tapino, nella sua villa in Sardegna per dedicarsi al lavoro per il partito e per gli italiani.
Qualcuno dice, male lingue naturalmente, che il Basso Sultano porti sfiga, agli altri chiaramente.
Dicerie degli untori della sinistra. Non abbiamo dubbi in proposito.
Intanto “Il Ventaglio” ha finito di soffiare e a soffiarsi sono rimasti i dipendenti senza lavoro.

Giuseppe D’Urso, insegnante molto precario, da Catania